Ognuno di noi ha l’oggetto. Il maledetto oggetto. Tutti cerchiamo di usare l’oggetto, l’identità ontologica indissolubilmente legata alla sua funzione.

Propendiamo automaticamente alla tensione verso l’oggetto. Macchine fotografiche, televisori, tubi catodici, razzi, motori. Tutti alla ricerca di un oggetto che ci sfugge.

Hanno creato L’Oggetto prediletto. L’archetipo di oggetto, capace di tutto, capace di miracoli e portenti. Il frutto proibito del sapere, delle funzioni, della matematica. In costante aggiornamento ed evoluzione, eppure resta L’Oggetto.

Piscine, letti, attrezzi ed armi, satelliti ed antenne. Ogni volta lo prendi in mano, sovraccarico di tensione potenziale, di milioni di porte e finestre da cui affacciarsi, uno specchio incantato che ci può rivelare chi siamo e chi non saremo mai.

Gira dischi, armadi, bauli, libri librerie biblioteche e librai. Ecco che dietro un semplice mattoncino di sabbia bruciata i più grandi segreti dell’universo trovano milioni di soluzioni ciascuno mentre i più triviali si accordano su al massimo due opinioni.

Macchine da scrivere, macchine da cucire, carrelli della spesa. Nulla sfuggiva al serpeggiante oggetto. Ti avvolge nelle sue spire di adrenalina e silici. Ti stringe nelle pieghe e nei giri di infinite corsie video-animate. Ti fissa poi negli occhi prima di baciarti.

Allora, piccolo proprietario infame, resti accecato da milioni di lits retroproiettati nelle tue cornee. Piccolo bastardo resti a guardare, incapace uomo, impotente menzogna. Oggetto sterile, indissolubilmente costretto alle sue finzioni.

È lì che anche il più mediocri dei proprietari fissa confuso, pronto a ricredersi, implorante perdono ad evanescenti divinità del tempo e dell’autostima.

Vuoi spezzare l’incantesimo. Di bacchette magiche non bastano, bisogna di trovare mille scuse, mille oggetti di funzione originaria. Cinepresa, videocassette, collezioni, libri, cd, vinili, quaderni, orologi, sveglie, tempo, spazio, frigoriferi pieni e sedie comode, spazio, divani, cuscini, macchine fotografiche e registratori a nastro, cartine, carta, penna, tempo, troppo spazio, altro tempo, tempo perso, spazio sprecato, ed io? Dove mi trovo? Cerca le chiavi, salutalo, antonio guardalo e salutalo, antonio…

Perso, perso il momento. Ti accorgi che dei mille incantesimi nessuno ha funzionato. Dei tanti tentativi ti sei solo trovato l’armadio pieno. La funzione ipersuriettiva che ti porta da decine di oggetti funzionali (antiOggetti) all’Oggetto finzionale, non è invertibile nel dominio del tempo.

Distruggere, sterminare, bruciare, eliminare ogni piega che si crea, ritagliare ogni menzogna. Crollano le torri di spaghetti di acciaio, s’interrompono le trasmissioni, si interrompe finalmente l’agitazione di infiniti elettroni nell’aria, il moto eterno di scambio di pacchetti e di informazioni, il bisbiglio intensissimo e incessante delle comunicazioni: l’entropia diminuisce solo in questo caso.

Possiamo continuare a mentirci, nessun tentativo di ritorno all’anti-oggetto sarà mai capace di spezzare l’incantesimo.

Citando un caro amico e concittadino: “ci si cerca di illudere in modo sempre più disperato che catturare una foto su una pellicola analogica possa mantenere il suo valore di anti-oggetto, nonostante poi lo pubblichiamo su Instagram…”

Nessuno se ne accorge, nessuno passa all’azione, nessuno genera o crea, nessuno inventa. Siamo succubi. Succubi di un male. Succubi di una non-azione. Succubi dell’oggetto.